il mestiere perduto
Il MUST - Museo “storico” di Lecce, ovvero,
una burla chiamata arte.
di Francesco Pasca
Ho tra le mani un volume di colore grigio e testo in rosso dichiarante ”LAVORI IN CORSO .Corpo2”(ci sarà stato, suppongo anche un .Corpo1). interrogativo ed esclamativo sono stati da me aggiunti.
In basso, sullo stesso, dal colore bianco il testo è altresì riportato con: “il percorso della scultura“; “aria di Roma”; “la scatola magica”.
Aperto il volume si ha la firma del testo di Luigi Coclite, (assessore al turismo e spettacolo) per titolo: “l’ampliamento dello sguardo”. Ovviamente, a seguire, s’aggiunge l’articolato con le firme del direttore, Nicola Massimo Elia (suppongo del Must), del curatore della rassegna, Toti Carpentieri (suppongo del critico d’arte) e infine del giovanissimo relegato per imparare negli “apparati”, Lorenzo Madaro (suppongo arrembante nel maremagnum della critica).
Da lì in poi ammiro una serie di belle foto (Ma chi farà le tradizionali foto, forse quando occorre sapere di obiettivi, di diaframmi, di tempi di otturazione e di tanto altro?) con quel che dovrebbe essere l’immagine di presentazione del MUST. Sempre nell’ovvio vedo scorrere le tre sezioni: “percorso della scultura”, “l’aria di Roma” e “la scatola magica”.
Escludendo ma non eludendo, “l’aria di Roma” della quale non è intenzione sottolineare né contestare le scelte commerciali e personali di una galleria locale, o meglio quelle definite in catalogo: “… valore aggiunto della propria identità …” ed enunciate per essere di identità privata, che non è pubblica, né mi inoltro a sapere a quale titolo ne è rappresentata, mi immergo con vivo dispiacere nella storia, così come si è voluta recitare per una Città che non merita essere Must così com’è diretto e tantomeno così com’è curato. Chi qui scrive sa del peso delle parole, infatti, ne faccio quotidiano uso e, a volte(… spesso), anche volute maldestramente per meglio convincere che queste, se non correttamente spese, assumono senso e suono anche sgradevole e insensato. Perdono il primo, cioè me stesso (e ne sorrido), ma non perdono altri che, non volutamente ma con convincimento dovuto all’utilizzo di un fare approssimato tipico del “amico dell’amico per l’amico” le spendono con scarso senso dell’altrui storia e ancor peggio quando sono consentite dagli operatori che si dicono “pubblici” e si adeguano col dire di farle esercitare e fare essi stessi “percorso”, per “costruire il futuro”, per “fare confronto generazionale”, per determinare “apparati”.
Una alla volta per queste chimere tenterò di renderpan per focaccia. Naturalmente per un mal subito nel privato e anche dal pubblico.
Nella prima sezione, il percorso della scultura, l’autore scomoda addirittura la Kunsthalle (per quelli come me, ahimè, abituati a far ricorso a Wiki trovo): termine di lingua tedesca che indica un edificio nel quale vengono realizzate mostre ed esposizioni artistiche e che questa parola può essere tradotta con la semplice Galleria d'arte. Non si ferma qui chi scomoda anche i tre tempi agostiniani per dar compito alla ricordanza e all’evocazione. Vuol far affiorare tutto con: “che sono in qualche modo nell’animo” e presenti tanto per il passato quanto nel presente.
Qui l’obbligo è fare nomi, senza storia non si va avanti. Naturalmente fatti i nomi occorre sempre la domanda. Qui si paventa e diventa il difficile e non solo nel trovare risposta ma addirittura a sollecitare strana domanda. Il nostro critico escogita l’impossibile e si chiede: “Ma cos’è la scultura?”(probabilmente è la richiesta a dubbi che l’attraversano nell’aver elencato i tanti i nomi sia a dritto che a rovescio. Sarebbe stato più opportuno utilizzare una più correta dicitura, la più critica: "cos'è diventata la scultura" e non, implicitamente, dichiarare con una domanda, un "è" che non "è" e nemmeno un "forse". )
Tralascio la risposta, credo venga fatta a se stesso e sempre a se stesso ci sarà stata e data risposta. (fate come me andate a prendervi il catalogo e leggetevela).
La mia domanda da Wikiano è più semplice ma emblematica. La “storia” cos’è, roba fatta in casa? (sicuramente buona da mangiare-ingoiare, anche e sicuramente, poi, da defecare).
Per le ragioni di un “percorso”, si scomoda un altro personaggio che, dal perché citato parrebbe di esclusiva e personalissima conoscenza del critico.
Del buon Tristan Tzara, con un panegirico da pro domo sua, ma proprio(sua sua), conclude così, citandolo, con la necessità di: ”una continua processione di differenze”(sue sue).
Del percorso mi sento proprio soddisfatto. Ma ripensando, c’è anche la noticina, forse su come “costruire il futuro”. Qui le firme sono due. Chi l’ha sparata più grossa? (intendo chi ha avuto la capacità di proiezione e farci capire dove stiamo andando). Trovo solo didascalie e termini, belli solo a vederli nel rincorrersi, ma non nell’appurarne la storia proiettabile in futuro, non ne ravviso l’intenzione in quei termini. Parrebbe l’intellegibile in una linea pugliese (qualora ve ne fosse chiara ed evidente una). Vedo bene, ma nella stragrande maggioranza delle opere si evince la stantia riproducibilità del già prodotto ch’è l’evidente del disastro determinato fra mondi impossibili da coniugare. Collezionismi e collezionisti, privato e pubblico maldestramente mescolato e deleteri per la corretta leggibilità del fare ARTE. È realistico e suppongo che, non è sufficiente sottolineare differenze di immagini fra passato e futuro per ottenere quanto velocemente è in via di trasformazione fra la comunicazione dettata con gli attuali mezzi e il gesto, la parola e l’immagine. (Pertanto, dire che la rassegna è solo compiacenza di immagine è già il massimo.)
Tutto quanto ho letto, percorso e rilevato fra l’essere in quelle pagine e in quella rassegna, scatola magica – un confronto generazionale”, il costruire e l’ampliare mi diventa l’illeggibile e solo l’abile esporre mistificatorio del MUST.
Una burla chiamata arte è il denominatore che mi disturba, mi rammarica come falso storico e come identità artistica da volere spacciare per poveri indifesi in Arte.
La parte curata da Lorenzo Madaro, in apparati, meglio identificata con gli artisti, cenni biografici, riporta l'equivocabile (intendo l’irresponsabile fare culturale, quello del far storicizzare alcuni eventi lì riportati con inesattezze dichiarate e non riscontrate. Sarà oggetto scrupoloso il correggerle?)
Il supposto che ognuno di noi può omettere o determinare a piacimento, vedi quel che mi riguarda, la storia del Gramma che non è solo del Prismagruppo o dell’omonima rivista ma del Gruppo Gramma nella sua dizione ed esecuzione temporale, senza far confusione va scritta e non omessa per esattezza storica. Vanno altresì riscritti i passaggi che hanno reso possibile quell'esperienza e per chi è realmente esistita o con chi e quale ne è stata la provenienza. Così come le opportunità che ha dato specificandone i luoghi.
(Tanti altri ancora sono gli operatori che fanno Arte, da ieri per domani e in quel sempre che sarà il possibile).
Come esteti e artisti rifiutano di far affermare qualunque piccola o grande bugia inutile per qualsiasi storia da raccontare.
I curatori detti tali e chiamati per il pubblico e che non controllano né verificano l’attendibilità o ancor peggio l’avallano, non possono che aggravare il senso che dobbiamo alla STORIA.
Il MUST dichiaratosi non solo nel suo Logo, ma nella sostanza, ”Museo Storico Città di Lecce” ha il dovere morale di controllare ed esibire le corrette documentazioni e non far omettere o travisare quanto altri hanno contribuito e ad altri ancora dire di praticarle.
Rimarrebbe per l’Amministrazione l’appunto, ch’e la noiosa domanda nonché il dubbio. “Chi sono” e a che “titolo” i signori della cultura fanno LAVORI IN CORSO .Corpo 1, 2, n+1 e occupano il “pubblico” dichiarandosi storici (pratica pare autonoma per autostima) o ancor peggio “curatori”?
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