il Ciclista Solitario

Il solitario.

Cuore da 39 battiti al minuto

di Francesco Pasca

Andar per strade o percorrere qualunque territorio è anche incontrare un prototipo di bicicletta targato TO con in sella un torso atletico munito di slip nero letteralmente accovacciato in un tutt’uno fra il manubrio arricchito col suo cupolino e la sella prolungata in alettoni e catarifrangenti luminosissimi con applicato l’identificativo del capoluogo piemontese. Lo strano Oggetto non identificato, condotto con sorprendente linearità, senza il minimo sobbalzo o dondolio di chi arranca è il sorprendente moto rettilineo uniforme dei 40/45 Km/h, il suo rapporto è un 48/13, Il suo nome o meglio il nome del suo conducente è Federico Mazzei di anni quaranta.
Le vicende dell’uomo che scrive si incrociano da sempre con le vicende e gli aspetti per lui insoliti e che ne definiscono gli ambiti del dire “meno comuni”.


Tutto quanto s’aggiunge alla propria portata immaginativa e fisica ci sorprende e ci affascina. Nel comune, spesso, quando non ci s’addentra con animo sereno nello specifico dello stupore questo può assumere aspetti insoliti, diventare a volte diffidenza o, se non peggio, il dileggio.
Mi sono da sempre chiesto come può nascere il desiderio di immergersi in uno sport e farne la ragione di una vita. Ho cercato di immaginare le ragioni di una scelta e su quale tipologia di sport far insistere l’attenzione e la pratica sino a variarla nella cosiddetta predisposizione mentale, nonché genetica.
Ho ragionato sulla nascosta necessità, percepita per gareggiare soprattutto con se stessi. Ho attribuito quelle infinite disponibilità ad un corpo che cresce e si adatta via via all’ambiente predisposto per vivere.

Delle due o più possibilità di quell’esercizio sta di fatto che, chi è all’esterno da quella pratica se ne stupisce, approva, disapprova o partecipa di rimessa all’agone con altrettanta caparbia necessità di capire o esserne coinvolti.

Nel certo è che, se non si frequenta il luogo del “lavoro” sportivo la strada può diventarlo e l’incontro con la pratica sportiva sarà “casualmente voluto”.
Il ciclismo ad esempio è pratica stracittadina e, se non attuato nel classico velodromo, nell’ambiente idoneo alla velocità ciclistica estrema, sarà direttamente vissuto nella totale libertà dello spazio di tutti.
Capita quindi di imbattersi o nella gara o nell’esercizio del dilettante o del professionista che gareggia o si allena su strada.
Da uomo comune, dilettante o professionista diventano categorie “mentali” costruite all’uopo per altri sottili distinguo e, da un me accidentale osservatore, non ne viene percepita, nell’immediato, la differenza. Ma, può far scaturire la curiosità qualora l’incontro non è più ascritto nel comune bensì nel proprio immaginario.

È dell’immaginario l’interesse all’approccio, è in una delle tante giornate che, la mia strada si incrocia con il prototipo di Federico Mazzei. Del ciclismo non conoscevo nulla, così come di quel prototipo di bicicletta. É scattata così la voglia e l’interesse all’approccio.
L’aver incontrato, nell’ormai consuetudine, il ciclista solitario in un caldo pomeriggio assolato del nostro territorio, con circa 40 gradi regalati dal sole di agosto, ha fatto scattare l’idea. Ho voluto conoscere meglio e da vicino questo personaggio, assaporare le sue fatiche, distinguere i come e i perché e poter condividere passioni allo stremo dello sforzo, della solitaria rinuncia all’ozio e al contempo accettare la solitaria passione di un velocipede.
Per il me non avvezzo alle fatiche estreme di estremo è divenuta la necessità del sapere, dell’indagare.
In ogni stagione non è raro vedere folti gruppi di ciclisti amatoriali roteare pedali di biciclette al titanio da veri professionisti ed ascoltarne il loro classico ronzare dei rapporti. Non è raro vederli percorre con vociante ed allegro andare le piste domenicali che conducono ai luoghi ameni, ossigenati e iodati.
Fra gli scanzonati dall’esigenza amatoriale vi è posto anche per Federico, ma da solitario e con uno strano ciclo-pedale da ben 40 e passa kg.
Incuriosito sono andato a trovare Federico, volevo conoscere lui e quell’Oggetto non identificato targato TO.
Federico mi ha dato l’opportunità di apprezzare la sua esperienza in una serata di fine settembre. Sono stato accolto nella sua casa a Monteroni di Lecce, mi ha introdotto un suo “Amico di Strada”, Michele. Ho conosciuto anche i genitori del ciclista solitario. Da mamma e papà ho appreso della sua passione per la bicicletta, nata per conoscere nuovi luoghi e per un regalo fatto per i suoi diciotto anni, quand’erano tutti a Torino. Quella bici era una semplice bici, un’insolita per lui Bianchi da donna.
Dai genitori ho appreso di altre biciclette, della sua prima fuga in solitario effettuata con una bici da cross da Torino e lungo le vie che conducono in montagna sino ai 2100 metri sul livello del mare.
La madre parla e racconta, è orgogliosa del figlio, di come quel figliolo riesce a seminare gli avversari quando gli si presentano “contro”. Il padre di animo pratico è altresì amorevole ma si rammarica per l’eccessiva dedizione a quella pratica sportiva del figlio e al contempo gongola di soddisfazione nel narrarlo.
Mi accosto con delicatezza alla bella famiglia del nostro Sud con sullo sfondo una vita fatta di sacrifici. Vedo un’azienda di ebanisteria iniziata a Torino, vedo la classica partenza fatta con una valigia di cartone, vedo anche il tramonto di quell’azienda avvenuta a Lecce per ragioni di salute e forse per tant’altre ragioni di cui oggi si parla.
Tralascio il rammarico di tanto e torno a parlare di biciclette. Chiedo di vedere da vicino l’Oggetto non identificato. Ho davanti a me l’incanto metallico di 41 kg e delle sue robuste ruote gommate, dei suoi cerchi lenticolari in alluminio, delle sue luci, delle sue sofisticate attrezzature nascoste e gestite con amorevole apprendimento.
A ridosso del manubrio, avvolta dal cupolino, vi è la strumentazione di controllo: temperatura dei pneumatici; temperatura dell’asfalto; kilometraggio orario parziale e medio; frequenza dei giri nei rapporti e tante altre segnalazioni corrispondenti all’utilizzo dei freni a disco e della normale ed utile segnaletica stradale.
Nel codino dove sembrerebbe risiedere un motore nascosto vi è invece l’utile per viaggiare sicuri: scorta di pneumatici; batteria di alimentazione; un piccolo compressore e persino una cella frigorifero per l’approvvigionamento idrico.
Il mistero dell’Oggetto non identificato è parzialmente svelato. Non è svelata alla logica di un me perplesso il come si possono raggiungere località così lontane in un’andata e in un ritorno e con velocità elevate e costanti. Il mistero resta nel personaggio Federico che, giornalmente, compie in media 114 km con un peso così considerevole. Sempre più incuriosito ho chiesto del tragitto medio e di quello più lungo sinora effettuato, della massima velocità raggiunta e dei riconoscimenti ricevuti. Ho chiesto tanti altri perché.
Federico con bonaria e pacata risposta, da ciclista predisposto ad assecondare non il mezzo ma il me interlocutore, mi ha dato informative strabilianti, si è mostrato non spavaldamente rappresentativo di se stesso ma pacatamente logico nel descrivere il suo itinerario di viaggio e sul come si affronta, con quali strategie di possono compiere addirittura 330 Km. Mi ha parlato di un viaggio con partenza Monteroni e via via poi per Copertino, Leverano, Porto Cesareo, Avetrana, Manduria, Sava, Monteparano, San Giorgio Jonico, Statte, Massafra, Mottola e ritorno. Mi ha detto cosa ha incontrato.
Ho potuto contare nelle sue bacheche centinaia di onorificenze, coppe e diplomi, nonché riconoscimenti prestigiosi come le vittorie per i campionati regionali del 1997, 1998, 2000, 2003, 2004 ed il campionato italiano amatori a cronometro nel 2006.
Mi ha lasciato perplesso raccontandomi delle velocità massime raggiunte in discesa di 107 km orari nella pendenza da Marina Serra per Capo di Leuca, dei 40.000 km annui, di multe ricevute per eccesso di velocità. Ho veduto il riconoscimento di personaggi importanti dello sport, da Bettini a Savoldelli e dei tant’altri di cui ora ho perso nome e conto. Federico è un personaggio straordinario, è il bonariamente portato per vincere e per dedicare ai luoghi percorsi l’impronta della sua vera dedizione ad uno sport. Federico è progetto continuo e le sue gambe continuano a far ronzare le minuscole sfere d’acciaio dei cuscinetti delle sue ruote, a macinare chilometri e a mordere con i denti dei rapporti quell’Oggetto non identificato. Il cuore di Federico batte lentissimo, sino a 39 battiti al minuto.
Per errore, a volte, crediamo sia un battito per velleità sportiva.