il Vero Senso della Scrittura

Il vero senso della scrittura

di Antonio ERRICO

Una volta che si è attraversata la foresta di simboli, di riferimenti, di fi­losofie, di stratificazioni semantiche, di metafore, analogie, allegorie, del ro­manzo di Francesco Pasca intitolato "L'α-Thea (Uo­mo) di Nazareth", edito da Il Raggio Verde, con intro­duzione di Mauri­zio Nocera, rima­ne la sostanza del­la narrazione. Ho detto ro­manzo, per ricon­durre in qualche modo la scrittura di questo libro ad un genere, nella con­sapevolezza che si tratta di una defini­zione approssimativa, perché il termi­ne forse più corretto sarebbe testo: nel suo significato di tessuto, trama, che Francesco Pasca elabora con una plu­ralità di forme e di linguaggi, con in­trecci concettuali e semantici.

Resta, però, il fatto che se il termi­ne romanzo è approssimativo, non è comunque improprio se si tiene conto che il romanzo è stato il luogo più fre­quentato dalla sperimentazione lingui­stica, soprattutto nel Novecento. Ora, la connotazione del testo di Pasca non consente di riassumere, di trarne una sinossi. Invece rende possi­bile al lettore una serie di riferimenti ad altri testi, che vanno dalle Scritture Sacre al "Vangelo secondo Gesù" di José Saramago.

Considerata la complessità concet­tuale e stilistica della scrittura di Pa­sca, l'addensarsi di interpretazioni non solo diverse ma anche contrastanti di­venta una conseguenza naturale. Anzi, con molta probabilità tra le intenzioni dell'autore c'è anche quella - forse non secondaria - di richiamare e pro­vocare una pluralità di interpretazioni. Tra cui, per esempio, quella secon­do la quale questo è un libro sulla scrittura e sul numero, quali elementi che riescono a dire, a rappresentare l'universo. La scrittura come elemento della connessione tra le storie che at­traversano il mondo; il numero come simbolo dell'ordine del mondo. Al principio e alla fine delle cose non c'è altro che una scrittura, non c'è altro che un numero, un intrecciarsi e un so­vrapporsi di scritture, una articolazio­ne e una combinazione di numeri. Sol­tanto questi due elementi sono in gra­do di rivelare i misteri e, al tempo

stesso, di aggrovigliarli. Allora, non si po' che scrivere, cancellare. Riscrive­re. Riformulare. Scomporre. Ricom­porre. Tentando di scoprire il senso che è celato e poi celare il senso che si è scoperto, per orientarsi verso una nuova ricerca, un senso ulteriore.

Da anni il lavoro che Francesco Pa­sca fa con la scrittura è caratterizzato da questa costante ricerca del senso ul­teriore. Il testo è in un continuo dive­nire, rigenerarsi, riprodursi. Se si vo­lesse configurarlo in una formula, si potrebbe dire che è un'opera aperta, mai definitivamente conclusa, disponi­bile ad innesti, variazioni, rimodulazio­ni; è molteplice, proteiforme. In que­sto modo i significati si propagano, si amplificano, pur essendo sempre alla ricerca della corrispondenza tra auctore res linguae, tra colui che scrive e quello che è scritto. Quindi il linguaggio è soprattutto mediazione fra l'io scrivente e il mon­do, tra il vivente e le denominazioni che si attribuiscono al vivente, tra rea­le e immaginario, pur nella consapevo­lezza che ogni immaginario costitui­sce una realtà del pensiero. In questo libro, poi, Pasca infitti­sce la relazione tra la Storia e l'opera di scrittura. Dice: "La Storia non è as­surdità nella morte, non sarà scritta né per essere utile né assurda. Nè ad altri darà mai occupazione di sapienza, ma sarà scopo del riflettere o del pensa­re".

Ma forse la Storia può trovare una sua configurazione solo nella scrittu­ra; forse è solo la scrittura che può ri­fondarne i significati attirando il pen­siero verso la riflessione.